Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo, le bocche aperse e mostrocci le sanne; non avea membro che tenesse fermo.

E 'l duca mio distese le sue spanne, prese la terra, e con piene le pugna la gitto` dentro a le bramose canne.

Qual e` quel cane ch'abbaiando agogna, e si racqueta poi che 'l pasto morde, che' solo a divorarlo intende e pugna,

cotai si fecer quelle facce lorde de lo demonio Cerbero, che 'ntrona l'anime si`, ch'esser vorrebber sorde.

Noi passavam su per l'ombre che adona la greve pioggia, e ponavam le piante sovra lor vanita` che par persona.

Elle giacean per terra tutte quante, fuor d'una ch'a seder si levo`, ratto ch'ella ci vide passarsi davante.

O tu che se' per questo 'nferno tratto , mi disse, riconoscimi, se sai: tu fosti, prima ch'io disfatto, fatto .

E io a lui: L'angoscia che tu hai forse ti tira fuor de la mia mente, si` che non par ch'i' ti vedessi mai.

Ma dimmi chi tu se' che 'n si` dolente loco se' messo e hai si` fatta pena, che, s'altra e` maggio, nulla e` si` spiacente .

Ed elli a me: La tua citta`, ch'e` piena d'invidia si` che gia` trabocca il sacco, seco mi tenne in la vita serena.

Voi cittadini mi chiamaste Ciacco: per la dannosa colpa de la gola, come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.

E io anima trista non son sola, che' tutte queste a simil pena stanno per simil colpa . E piu` non fe' parola.

Io li rispuosi: Ciacco, il tuo affanno mi pesa si`, ch'a lagrimar mi 'nvita; ma dimmi, se tu sai, a che verranno

li cittadin de la citta` partita; s'alcun v'e` giusto; e dimmi la cagione per che l'ha tanta discordia assalita .

E quelli a me: Dopo lunga tencione verranno al sangue, e la parte selvaggia caccera` l'altra con molta offensione.

Poi appresso convien che questa caggia infra tre soli, e che l'altra sormonti con la forza di tal che teste' piaggia.

Alte terra` lungo tempo le fronti, tenendo l'altra sotto gravi pesi, come che di cio` pianga o che n'aonti.

Giusti son due, e non vi sono intesi; superbia, invidia e avarizia sono le tre faville c'hanno i cuori accesi .

Qui puose fine al lagrimabil suono. E io a lui: Ancor vo' che mi 'nsegni, e che di piu` parlar mi facci dono.

Farinata e 'l Tegghiaio, che fuor si` degni, Iacopo Rusticucci, Arrigo e 'l Mosca e li altri ch'a ben far puoser li 'ngegni,

dimmi ove sono e fa ch'io li conosca; che' gran disio mi stringe di savere se 'l ciel li addolcia, o lo 'nferno li attosca .

E quelli: Ei son tra l'anime piu` nere: diverse colpe giu` li grava al fondo: se tanto scendi, la` i potrai vedere.

Ma quando tu sarai nel dolce mondo, priegoti ch'a la mente altrui mi rechi: piu` non ti dico e piu` non ti rispondo .

Li diritti occhi torse allora in biechi; guardommi un poco, e poi chino` la testa: cadde con essa a par de li altri ciechi.

E 'l duca disse a me: Piu` non si desta di qua dal suon de l'angelica tromba, quando verra` la nimica podesta:

ciascun rivedera` la trista tomba, ripigliera` sua carne e sua figura, udira` quel ch'in etterno rimbomba .

Si` trapassammo per sozza mistura de l'ombre e de la pioggia, a passi lenti, toccando un poco la vita futura;

per ch'io dissi: Maestro, esti tormenti crescerann'ei dopo la gran sentenza, o fier minori, o saran si` cocenti? .

Ed elli a me: Ritorna a tua scienza, che vuol, quanto la cosa e` piu` perfetta, piu` senta il bene, e cosi` la doglienza.

Tutto che questa gente maladetta in vera perfezion gia` mai non vada, di la` piu` che di qua essere aspetta .

Noi aggirammo a tondo quella strada, parlando piu` assai ch'i' non ridico; venimmo al punto dove si digrada:

quivi trovammo Pluto, il gran nemico.

Inferno: Canto VII

Pape Satan, pape Satan aleppe! , comincio` Pluto con la voce chioccia; e quel savio gentil, che tutto seppe,

disse per confortarmi: Non ti noccia la tua paura; che', poder ch'elli abbia, non ci torra` lo scender questa roccia .

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Di Dante Alighieri
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