Da indi in qua mi fuor le serpi amiche, perch'una li s'avvolse allora al collo, come dicesse 'Non vo' che piu` diche';
e un'altra a le braccia, e rilegollo, ribadendo se' stessa si` dinanzi, che non potea con esse dare un crollo.
Ahi Pistoia, Pistoia, che' non stanzi d'incenerarti si` che piu` non duri, poi che 'n mal fare il seme tuo avanzi?
Per tutt'i cerchi de lo 'nferno scuri non vidi spirto in Dio tanto superbo, non quel che cadde a Tebe giu` da' muri.
El si fuggi` che non parlo` piu` verbo; e io vidi un centauro pien di rabbia venir chiamando: Ov'e`, ov'e` l'acerbo? .
Maremma non cred'io che tante n'abbia, quante bisce elli avea su per la groppa infin ove comincia nostra labbia.
Sovra le spalle, dietro da la coppa, con l'ali aperte li giacea un draco; e quello affuoca qualunque s'intoppa.
Lo mio maestro disse: Questi e` Caco, che sotto 'l sasso di monte Aventino di sangue fece spesse volte laco.
Non va co' suoi fratei per un cammino, per lo furto che frodolente fece del grande armento ch'elli ebbe a vicino;
onde cessar le sue opere biece sotto la mazza d'Ercule, che forse gliene die` cento, e non senti` le diece .
Mentre che si` parlava, ed el trascorse e tre spiriti venner sotto noi, de' quali ne' io ne' 'l duca mio s'accorse,
se non quando gridar: Chi siete voi? ; per che nostra novella si ristette, e intendemmo pur ad essi poi.
Io non li conoscea; ma ei seguette, come suol seguitar per alcun caso, che l'un nomar un altro convenette,
dicendo: Cianfa dove fia rimaso? ; per ch'io, accio` che 'l duca stesse attento, mi puosi 'l dito su dal mento al naso.
Se tu se' or, lettore, a creder lento cio` ch'io diro`, non sara` maraviglia, che' io che 'l vidi, a pena il mi consento.
Com'io tenea levate in lor le ciglia, e un serpente con sei pie` si lancia dinanzi a l'uno, e tutto a lui s'appiglia.
Co' pie` di mezzo li avvinse la pancia, e con li anterior le braccia prese; poi li addento` e l'una e l'altra guancia;
li diretani a le cosce distese, e miseli la coda tra 'mbedue, e dietro per le ren su` la ritese.
Ellera abbarbicata mai non fue ad alber si`, come l'orribil fiera per l'altrui membra avviticchio` le sue.
Poi s'appiccar, come di calda cera fossero stati, e mischiar lor colore, ne' l'un ne' l'altro gia` parea quel ch'era:
come procede innanzi da l'ardore, per lo papiro suso, un color bruno che non e` nero ancora e 'l bianco more.
Li altri due 'l riguardavano, e ciascuno gridava: Ome`, Agnel, come ti muti! Vedi che gia` non se' ne' due ne' uno .
Gia` eran li due capi un divenuti, quando n'apparver due figure miste in una faccia, ov'eran due perduti.
Fersi le braccia due di quattro liste; le cosce con le gambe e 'l ventre e 'l casso divenner membra che non fuor mai viste.
Ogne primaio aspetto ivi era casso: due e nessun l'imagine perversa parea; e tal sen gio con lento passo.
Come 'l ramarro sotto la gran fersa dei di` canicular, cangiando sepe, folgore par se la via attraversa,
si` pareva, venendo verso l'epe de li altri due, un serpentello acceso, livido e nero come gran di pepe;
e quella parte onde prima e` preso nostro alimento, a l'un di lor trafisse; poi cadde giuso innanzi lui disteso.
Lo trafitto 'l miro`, ma nulla disse; anzi, co' pie` fermati, sbadigliava pur come sonno o febbre l'assalisse.
Elli 'l serpente, e quei lui riguardava; l'un per la piaga, e l'altro per la bocca fummavan forte, e 'l fummo si scontrava.
Taccia Lucano ormai la` dove tocca del misero Sabello e di Nasidio, e attenda a udir quel ch'or si scocca.
Taccia di Cadmo e d'Aretusa Ovidio; che' se quello in serpente e quella in fonte converte poetando, io non lo 'nvidio;
che' due nature mai a fronte a fronte non trasmuto` si` ch'amendue le forme a cambiar lor matera fosser pronte.
Insieme si rispuosero a tai norme, che 'l serpente la coda in forca fesse, e il feruto ristrinse insieme l'orme.