Molti son li animali a cui s'ammoglia, e piu` saranno ancora, infin che 'l veltro verra`, che la fara` morir con doglia.
Questi non cibera` terra ne' peltro, ma sapienza, amore e virtute, e sua nazion sara` tra feltro e feltro.
Di quella umile Italia fia salute per cui mori` la vergine Cammilla, Eurialo e Turno e Niso di ferute.
Questi la caccera` per ogne villa, fin che l'avra` rimessa ne lo 'nferno, la` onde 'nvidia prima dipartilla.
Ond'io per lo tuo me' penso e discerno che tu mi segui, e io saro` tua guida, e trarrotti di qui per loco etterno,
ove udirai le disperate strida, vedrai li antichi spiriti dolenti, ch'a la seconda morte ciascun grida;
e vederai color che son contenti nel foco, perche' speran di venire quando che sia a le beate genti.
A le quai poi se tu vorrai salire, anima fia a cio` piu` di me degna: con lei ti lascero` nel mio partire;
che' quello imperador che la` su` regna, perch'i' fu' ribellante a la sua legge, non vuol che 'n sua citta` per me si vegna.
In tutte parti impera e quivi regge; quivi e` la sua citta` e l'alto seggio: oh felice colui cu' ivi elegge! .
E io a lui: Poeta, io ti richeggio per quello Dio che tu non conoscesti, accio` ch'io fugga questo male e peggio,
che tu mi meni la` dov'or dicesti, si` ch'io veggia la porta di san Pietro e color cui tu fai cotanto mesti .
Allor si mosse, e io li tenni dietro.
Inferno: Canto II
Lo giorno se n'andava, e l'aere bruno toglieva li animai che sono in terra da le fatiche loro; e io sol uno
m'apparecchiava a sostener la guerra si` del cammino e si` de la pietate, che ritrarra` la mente che non erra.
O muse, o alto ingegno, or m'aiutate; o mente che scrivesti cio` ch'io vidi, qui si parra` la tua nobilitate.
Io cominciai: Poeta che mi guidi, guarda la mia virtu` s'ell'e` possente, prima ch'a l'alto passo tu mi fidi.
Tu dici che di Silvio il parente, corruttibile ancora, ad immortale secolo ando`, e fu sensibilmente.
Pero`, se l'avversario d'ogne male cortese i fu, pensando l'alto effetto ch'uscir dovea di lui e 'l chi e 'l quale,
non pare indegno ad omo d'intelletto; ch'e' fu de l'alma Roma e di suo impero ne l'empireo ciel per padre eletto:
la quale e 'l quale, a voler dir lo vero, fu stabilita per lo loco santo u' siede il successor del maggior Piero.
Per quest'andata onde li dai tu vanto, intese cose che furon cagione di sua vittoria e del papale ammanto.
Andovvi poi lo Vas d'elezione, per recarne conforto a quella fede ch'e` principio a la via di salvazione.
Ma io perche' venirvi? o chi 'l concede? Io non Enea, io non Paulo sono: me degno a cio` ne' io ne' altri 'l crede.
Per che, se del venire io m'abbandono, temo che la venuta non sia folle. Se' savio; intendi me' ch'i' non ragiono .
E qual e` quei che disvuol cio` che volle e per novi pensier cangia proposta, si` che dal cominciar tutto si tolle,
tal mi fec'io 'n quella oscura costa, perche', pensando, consumai la 'mpresa che fu nel cominciar cotanto tosta.
S'i' ho ben la parola tua intesa , rispuose del magnanimo quell'ombra; l'anima tua e` da viltade offesa;
la qual molte fiate l'omo ingombra si` che d'onrata impresa lo rivolve, come falso veder bestia quand'ombra.
Da questa tema accio` che tu ti solve, dirotti perch'io venni e quel ch'io 'ntesi nel primo punto che di te mi dolve.
Io era tra color che son sospesi, e donna mi chiamo` beata e bella, tal che di comandare io la richiesi.
Lucevan li occhi suoi piu` che la stella; e cominciommi a dir soave e piana, con angelica voce, in sua favella:
"O anima cortese mantoana, di cui la fama ancor nel mondo dura, e durera` quanto 'l mondo lontana,
l'amico mio, e non de la ventura, ne la diserta piaggia e` impedito si` nel cammin, che volt'e` per paura;
e temo che non sia gia` si` smarrito, ch'io mi sia tardi al soccorso levata, per quel ch'i' ho di lui nel cielo udito.