E pero` leva su`: vinci l'ambascia con l'animo che vince ogne battaglia, se col suo grave corpo non s'accascia.
Piu` lunga scala convien che si saglia; non basta da costoro esser partito. Se tu mi 'ntendi, or fa si` che ti vaglia .
Leva'mi allor, mostrandomi fornito meglio di lena ch'i' non mi sentia; e dissi: Va, ch'i' son forte e ardito .
Su per lo scoglio prendemmo la via, ch'era ronchioso, stretto e malagevole, ed erto piu` assai che quel di pria.
Parlando andava per non parer fievole; onde una voce usci` de l'altro fosso, a parole formar disconvenevole.
Non so che disse, ancor che sovra 'l dosso fossi de l'arco gia` che varca quivi; ma chi parlava ad ire parea mosso.
Io era volto in giu`, ma li occhi vivi non poteano ire al fondo per lo scuro; per ch'io: Maestro, fa che tu arrivi
da l'altro cinghio e dismontiam lo muro; che', com'i' odo quinci e non intendo, cosi` giu` veggio e neente affiguro .
Altra risposta , disse, non ti rendo se non lo far; che' la dimanda onesta si de' seguir con l'opera tacendo .
Noi discendemmo il ponte da la testa dove s'aggiugne con l'ottava ripa, e poi mi fu la bolgia manifesta:
e vidivi entro terribile stipa di serpenti, e di si` diversa mena che la memoria il sangue ancor mi scipa.
Piu` non si vanti Libia con sua rena; che' se chelidri, iaculi e faree produce, e cencri con anfisibena,
ne' tante pestilenzie ne' si` ree mostro` gia` mai con tutta l'Etiopia ne' con cio` che di sopra al Mar Rosso ee.
Tra questa cruda e tristissima copia correan genti nude e spaventate, sanza sperar pertugio o elitropia:
con serpi le man dietro avean legate; quelle ficcavan per le ren la coda e 'l capo, ed eran dinanzi aggroppate.
Ed ecco a un ch'era da nostra proda, s'avvento` un serpente che 'l trafisse la` dove 'l collo a le spalle s'annoda.
Ne' O si` tosto mai ne' I si scrisse, com'el s'accese e arse, e cener tutto convenne che cascando divenisse;
e poi che fu a terra si` distrutto, la polver si raccolse per se' stessa, e 'n quel medesmo ritorno` di butto.
Cosi` per li gran savi si confessa che la fenice more e poi rinasce, quando al cinquecentesimo anno appressa;
erba ne' biado in sua vita non pasce, ma sol d'incenso lagrime e d'amomo, e nardo e mirra son l'ultime fasce.
E qual e` quel che cade, e non sa como, per forza di demon ch'a terra il tira, o d'altra oppilazion che lega l'omo,
quando si leva, che 'ntorno si mira tutto smarrito de la grande angoscia ch'elli ha sofferta, e guardando sospira:
tal era il peccator levato poscia. Oh potenza di Dio, quant'e` severa, che cotai colpi per vendetta croscia!
Lo duca il domando` poi chi ello era; per ch'ei rispuose: Io piovvi di Toscana, poco tempo e`, in questa gola fiera.
Vita bestial mi piacque e non umana, si` come a mul ch'i' fui; son Vanni Fucci bestia, e Pistoia mi fu degna tana .
E io al duca: Dilli che non mucci, e domanda che colpa qua giu` 'l pinse; ch'io 'l vidi uomo di sangue e di crucci .
E 'l peccator, che 'ntese, non s'infinse, ma drizzo` verso me l'animo e 'l volto, e di trista vergogna si dipinse;
poi disse: Piu` mi duol che tu m'hai colto ne la miseria dove tu mi vedi, che quando fui de l'altra vita tolto.
Io non posso negar quel che tu chiedi; in giu` son messo tanto perch'io fui ladro a la sagrestia d'i belli arredi,
e falsamente gia` fu apposto altrui. Ma perche' di tal vista tu non godi, se mai sarai di fuor da' luoghi bui,
apri li orecchi al mio annunzio, e odi: Pistoia in pria d'i Neri si dimagra; poi Fiorenza rinova gente e modi.
Tragge Marte vapor di Val di Magra ch'e` di torbidi nuvoli involuto; e con tempesta impetuosa e agra
sovra Campo Picen fia combattuto; ond'ei repente spezzera` la nebbia, si` ch'ogne Bianco ne sara` feruto.
E detto l'ho perche' doler ti debbia! .
Inferno: Canto XXV
Al fine de le sue parole il ladro le mani alzo` con amendue le fiche, gridando: Togli, Dio, ch'a te le squadro! .